di Lidia Borghi
Michela:
Sono ricercatrice Marie Curie con un progetto triennale focalizzato
sulla medicalizzazione delle persone con tratti intersex. Come
sociologa mi sono occupata di studi di genere per anni, fin dal
periodo della mia formazione universitaria a Firenze. Due anni dopo
la discussione della mia tesi di dottorato sulla rappresentanza di
genere in politica ho avuto la fortuna di ascoltare il breve
intervento di una giovane persona intersex a Bologna, e mi si è
aperto un mondo che ha cambiato la mia vita, di studiosa e anche
personale e che non intendo abbandonare: dopo quell'incontro ho
iniziato a informarmi, a studiare e a cercare di parlare con le
persone dirette interessate, ascoltare le loro storie e il loro
vissuto.
Sono così diventata attivista per i diritti umani delle
persone intersex e, un anno dopo ho aperto, con l'aiuto di Alessandro
Comeni, lui stesso da poco entrato a far parte dell'attivismo come
persona intersex, il primo punto di accoglienza per ogni tipo di
variazione intersex in Italia. Nel 2013 abbiamo fondato, insieme a
Nicole Braida e altre persone, il collettivo intersexioni.
Nicole:
Sono dottoranda in Sociologia e Metodologia della Ricerca Sociale
presso il NASP (Network for the Advancement of Social and Political
Studies) tra l’università degli studi di Milano e quella di
Torino. Mi interesso di medicalizzazione dell'intersessualità,
costruzione sociale della sessualità e relazioni intime non
convenzionali. Vivo a Torino, dove mi sono laureata in Sociologia con
una tesi sulla gestione sociale e medica delle persone intersex che
ha ricevuto il premio “Arianna Buttinelli” dell'associazione
AISIA (Associazione Nazionale Sindrome Insensibilità agli Androgeni)
nel 2012. Il mio primo contatto con la tematica intersex è stato
durante il mio Erasmus a Siviglia, quando seguivo un corso di
Antropologia dei generi. Anche per me è stato come scoprire un mondo
e, da quel momento, non sono più riuscita a pensare al sesso
biologico nel modo in cui mi avevano insegnato. Da lì in poi è
iniziato anche il mio percorso da attivista, di cui la fondazione di
intersexioni è stato
un passo importante.
A che punto stanno le
cose, in Italia, in merito all'insieme di ignoranza, pregiudizio e
invisibilità riservata alle persone intersessuali?
Nicole:
Nel nostro Paese l’intersessualità è ancora molto
invisibilizzata:
negli ultimi anni è aumentato l’interesse
da parte dei media mainstream alla tematica ma, molto spesso, esso
non è accompagnato da una corretta informazione e formazione
delle/dei giornalist*; si punta al sensazionalismo parlando di
“bambini senza sesso” oppure di “terzo sesso”, senza offrire
un quadro completo di che cosa sia l’intersessualità nel suo
complesso. Dal punto di vista della gestione medica, dalla mia
indagine condotta nel 2011 è emerso che non esiste ancora
un’uniformità di trattamento e molto è ancora lasciato
all’arbitrarietà dell’équipe o della/del singol* specialista,
che ha la facoltà di orientare i genitori verso gli interventi che
ritiene “necessari”. Sebbene il livello d'intervento sui corpi
sia diminuito nel corso dell'ultimo ventennio grazie alle pressioni
dell'attivismo internazionale e gli interventi non consensuali e non
necessari sui bambini intersex siano stati riconosciuti come
mutilazioni genitali anche dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità, sappiamo che ancora oggi ci sono specialist* che fanno
pressioni sui genitori per intervenire chirurgicamente sui/sulle
figl* prima della pubertà e che, in generale, per la maggior parte
delle/degli specialist* non si può prescindere da qualche grado di
medicalizzazione (per esempio, le terapie ormonali). Un altro indizio
dell’invisibilità e del pregiudizio intorno all’intersessualità
nel nostro Paese è il fatto che le persone che io ho intervistato
preferivano non usare il termine “intersex”, in quanto percepito
come fortemente stigmatizzante nella nostra società scegliendo,
piuttosto, termini più medicalizzanti come DSD (disordini dello
sviluppo sessuale). Parte dell’attivismo internazionale (per
esempio l'OII, Organization Intersex International) ha preso, invece,
le distanze da questi termini in quanto rientrano ancora nel
paradigma della medicalizzazione, che vede l’intersessualità come
un “disordine”, qualcosa di patologico che va corretto, anziché
come una manifestazione della varietà anatomica esistente.
Michela:
Nonostante la classe medica in Italia e all’estero assicuri a più
riprese che gli interventi di chirurgia estetica genitale non
necessari per motivi di salute non vengono più fatti su bambin* con
tratti intersex, sappiamo non essere così: le linee guida mediche
prevedono ancora interventi in casi di atipicità genitale, così
come indicato dal Consensus Conference
del 2006 (si tratta di una conferenza organizzata da due società di
medicina a Chicago con l'obiettivo di trovare un accordo su un
documento riguardante il trattamento medico delle variazioni
intersex). In Italia lo scorso settembre le cronache riportavano la
notizia di una serie di interventi chirurgici effettuati al
policlinico universitario Paolo Giaccone di Palermo su un* bambin* di
appena due anni e mezzo, san*. L’intervento è stato fatto passare
come un caso di eccellenza, come una «risposta
di straordinaria efficienza e qualità»
della Sanità palermitana quando, invece, stando alle cronache
locali, si è trattato di una serie di interventi estremamente
invasivi, irreversibili e non necessari per imminenti motivi di
salute: ad un* bambin* san* con caratteristiche di sesso non
chiaramente riconducibili alle nozioni binarie di femmina e maschio
sono state asportate le gonadi con l’utero ed è stato costruito un
apparato genitale maschile con lo scopo di allineare l’aspetto dei
suoi genitali ai cromosomi maschili, senza attendere che potesse
avere una età adatta a dare il proprio consenso informato e decidere
per sé. Questi tipi di interventi sono stati dichiarati una forma di
tortura e di mutilazione genitale ormai da numerosi organismi
internazionali, compresa l’Organizzazione Mondiale della Sanità
(2015), così come la Fundamental Rights Agency (l'Agenzia per i
Diritti Fondamentali o FRA) nel 2015, il Consiglio d’Europa (2013).
Anche l’ONU si è espressa in merito in più occasioni, l’ultima
durante il periodo di consapevolezza intersex (26 ottobre - 8
novembre 2016), e precedentemente nel 2013 nel suo Rapporto Speciale
sulla Tortura
(http://ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=20739&LangID=E).
L’Italia è stata anche
ammonita dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone
con disabilità (Committee on the Rights of Persons with
Disabilities, CRPD) proprio per le pratiche di mutilazioni genitali
intersex, denunciate come violazione dell’art. 17 CRPD sulla
“Protezione dell’integrità della persona” (qui il comunicato
stampa congiunto di intersexioni e Certi Diritti
:http://www.intersexioni.it/italia-ammonita-per-le-mutilazioni-genitali-intersex/).
Che gli interventi di chirurgia estetica femminilizzante o
maschilizzante vengano interrotti è la richiesta che da ormai
vent'anni fanno le organizzazioni di persone intersex. Mi domando
quanti soggetti ancora debbano subire interventi invasivi,
irreversibili e non necessari, per lo più dannosi per la salute
fisica e mentale, prima che la classe medica italiana tutta ascolti
queste voci e recepisca le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità (nota 1).
Le mutilazioni genitali
hanno finito per coinvolgere le persone intersessuali e le
transgender, il che ha trasmesso all'opinione pubblica molte
informazioni errate che ingenerano confusione. Che cosa sono e perché
rappresentano una tortura legalizzata e quale differenza c'è fra
intersex e transgender?
Nicole:
Partiamo dalla differenza fra intersex e transgender. Le persone
intersex presentano caratteristiche biologiche che non possono essere
ascritte a uno solo dei sessi socialmente riconosciuti nella nostra
società; queste caratteristiche possono presentarsi a livello
cromosomico, ormonale e/o fenotipico (genitali interni, esterni e/o
caratteristiche sessuali secondarie). Le persone transgender, invece,
non si riconoscono totalmente nel sesso anagrafico che è stato loro
assegnato alla nascita e alcune di loro (anche se non tutte!)
desiderano adeguare le loro caratteristiche anatomiche alla propria
identità di genere, sottoponendosi a terapie ormonali e/o interventi
chirurgici. Dal punto di vista degli interventi chirurgici, pertanto,
le istanze dell’attivismo intersex e dell’attivismo transgender
sono molto differenti (potremmo dire quasi opposte): l’attivismo
intersex chiede l’arresto degli interventi chirurgici precoci su
pazienti che, a causa della loro età, non possono dare il consenso
all’intervento; l’attivismo transgender, invece, pur nelle sue
differenze e complessità interne, chiede l’accesso il più
possibile rapido dal punto di vista burocratico al cambiamento del
nome anagrafico e agli interventi medico-chirurgici, per chi lo
desidera.
Dunque, mentre gli
interventi sui corpi intersex in età precoce si configurano come
vere e proprie mutilazioni genitali perché effettuati su persone che
non possono ancora autodeterminarsi e possono avere gravi
ripercussioni fisiche e psicologiche anche sulla loro vita affettiva
e sessuale, gli interventi sulle persone transgender, se richiesti e
voluti dalle persone stesse, sono invece legittimi e vanno garantiti.
Le analogie tra i due percorsi stanno nel fatto che entrambi i gruppi
sono vittima delle politiche di controllo sui corpi e dei processi di
medicalizzazione che pongono limiti e ostacoli allo scavalcamento dei
confini tra i sessi e i generi.
Michela:
Come ha ben spiegato Nicole, le richieste delle persone intersex e
delle persone trans possono apparire, e per molti aspetti sono,
opposte. Quello che le accomuna è la richiesta del rispetto del
diritto all’autodeterminazione che, nel caso delle persone
transgender, trans*, gender non conforming, si declina nella garanzia
di poter aver accesso ai trattamenti cosmetici e chirurgici
desiderati, alle cure necessarie, così come di poter accedere al
cambio di sesso anagrafico senza doversi sottoporre a sterilizzazione
e ad altri interventi chirurgici se non richiesti, la possibilità di
seguire un percorso burocratico snello, non stigmatizzante e
patologizzante oltre a un percorso di psicoterapia solo se richiesto
e non come unico modo per ottenere il riconoscimento della propria
identità. Nel caso delle persone intersex la richiesta è quella del
rispetto dell’integrità del proprio corpo così come è alla
nascita, senza che venga modificato con trattamenti chirurgici e
farmacologici per conformarlo ad un ideale di genere binario per
estetica e presunta futura funzionalità, sulla base di decisioni
altrui (siano dei medici o dei genitori/tutori).
Media e linguaggio
LGBTQI: quanto c'è di voluto e quanto di ignoranza allo stato puro?
Nicole:
Con intersexioni
abbiamo già scritto alcuni articoli proprio per fare chiarezza sulla
tematica intersex, in seguito all'uscita di notizie passate dalla
stampa con toni superficiali e fuorvianti (nota 2). Se da parte delle
testate più vicine alle destre o al mondo cattolico (occupate nella
crociata anti gender)
può esserci un intento mistificatorio la sensazione è che, in
generale, ci sia anche molta ignoranza sull'argomento. Credo che,
almeno in parte, essa possa essere attribuita alle condizioni del
giornalismo contemporaneo, che molto gioca sullo scoop e sul
sensazionalismo con poco tempo per approfondire. Il pressappochismo
però non può essere giustificato, quando si trattano argomenti
complessi che coinvolgono le vite di persone che già subiscono un
forte stigma sociale.
Michela:
la mancanza di conoscenza, il pressappochismo e il sensazionalismo di
cui parla Nicole si riscontrano talora anche nella stampa estera:
stigma, linguaggio inappropriato, disinformazione, schiacciamento
della tematica intersex su altre questioni legate principalmente
all’identità di genere e/o all’orientamento sessuale, così come
l’accoglimento acritico della versione medicalizzante e
patologizzante fornita dalla classe medica mainstream, sono un
problema diffuso non solo in Italia (nota 3). Soltanto laddove il/la
giornalist* ha la serietà di coinvolgere nella sua inchiesta o
semplice articolo che sia le persone direttamente interessate e
le/gli attivist* per i diritti umani intersex, i risultati sono
soddisfacenti, dignitosi o almeno accettabili.
Intersessualità e
invisibilità: quale ruolo gioca la vergogna vissuta in famiglia e
quale lo stigma sociale?
Nicole:
Allo stato attuale è presente un circolo vizioso per cui lo stigma
sociale subìto dalle persone intersex alimenta la percezione di
emergenza sociale nelle famiglie e negli/nelle operatori/trici
sanitari/e e questa percezione induce a nascondere e cercare di
normalizzare i corpi delle persone intersex. Per questo motivo
l'intersessualità continua a essere invisibile e questa
invisibilità, a sua volta, nutre lo stigma. L'unica via che vedo per
uscire da questo circolo vizioso è lavorare per il cambiamento
culturale, verso una sempre maggiore accettazione delle differenze in
generale e di quelle intra e intersessuali nello specifico. Il punto
di partenza può essere abituarsi a pensare il sesso non come un
sistema binario che comprende solo due opzioni, ma come un continuum
che prevede infinite sfumature possibili tra i due estremi
femminile/maschile. Tuttavia questo cambiamento culturale può avere
tempi lunghi, mentre è necessario che le mutilazioni genitali si
arrestino da subito, in quanto contrarie al diritto
all'autodeterminazione e all'integrità fisica.
Michela:
Silence, secrecy and shame
ovvero silenzio, segretezza e senso di vergogna sono le cosiddette
tre esse con cui nel mondo dell'attivismo intersex internazionale
viene indicato l'intreccio di cause ed effetti del vivere in un
ambiente in cui lo stigma sociale, la segretezza imposta da parte dei
medici e della famiglia e il senso di vergogna che ne deriva giocano
un ruolo determinante nella crescita e formazione di bambine,
bambini, adolescenti, ma anche adulti con variazioni intersex. Il
modello medico del nascondimento, portato avanti dallo psicologo John
Money negli anni Cinquanta del secolo scorso e non ancora realmente
abbandonato, produce isolamento e la sensazione di essere le uniche
persone al mondo a dover affrontare percorsi chirurgici e/o
farmacologici di cui non si sa niente e di cui viene detto poco. La
mancanza di conoscenza stessa crea isolamento, così come la
percezione di essere sbagliat* e produce grande sofferenza. Come dice
Nicole, in tale contesto si viene a creare un circolo vizioso che va
interrotto ed è quello che da anni cerchiamo di fare, come singole e
come intersexioni,
informando, facendo crescere consapevolezza ovunque, cercando di
aiutare chi ci contatta come possiamo e, in particolar modo, facendo
rete, mettendo le persone in relazione le une con le altre e creando
condivisione. Nello stesso tempo è necessario cercare di incidere
sulla legislazione e sulle linee guida mediche in modo tale da
interrompere una volta per tutte le pratiche di interventi non
necessari per imminenti motivi di salute, trattamenti chirurgici e
farmacologici irreversibili che causano gravi sofferenze fisiche e
mentali e che vìolano i diritti umani di integrità del corpo e
autodeterminazione.
Note
1. I nostri articoli sul
sito intersexioni:
2. L'articolo scritto da
Michela con la dr. Alba Maria Tonarti: Mutilazioni
sociali-bisturi-sempre-piu-in-voga-per-omologare-le-atipicità
http://www.intersexioni.it/mutilazioni-sociali-bisturi-sempre-piu-in-voga-per-omologare-le-atipicita/
e questo scritto da Nicole e Michela:
http://www.intersexioni.it/il-caso-di-gela-le-variazioni-intersessuali-tra-sensazionalismo-dei-media-e-interventismo-medico/
3. A questo proposito
suggerisco la lettura dell’artico di Morgan Carpenter, co-chair di
OII Australia: Body shaming is an intersex issue, 19A gosto 2016,
https://oii.org.au/30697/body-shaming-intersex-issue/.
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